Moda e ribellione: il ritorno dello spirito punk

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In un’epoca di incertezze e trasformazioni sociali, la moda riscopre l’energia cruda e sovversiva del punk. Non è revival, è resistenza.

Il punk è tornato. O forse non se ne è mai andato

Ogni epoca ha bisogno della sua estetica. E nei momenti di tensione sociale e politica, la moda reagisce con forza, mostrando il lato più ruvido e viscerale dell’identità collettiva. Negli anni Settanta, fu il punk a incarnare questo scontro: una rivoluzione culturale prima ancora che stilistica, che oggi sembra echeggiare ancora – e forse con maggiore urgenza – sulle passerelle, nei look quotidiani, nell’arte e nella musica.

Cosa si intende per punk?

Punk non è solo musica, e non è solo uno stile. È una presa di posizione. Nasce tra Londra e New York come risposta violenta e consapevole al malcontento giovanile, all’ipocrisia sociale, alla crisi economica, al conservatorismo politico. È “distruzione creativa”: un modo per decostruire il sistema e ricomporlo secondo logiche nuove, più sincere, più radicali. Il messaggio era chiaro: Destroy. Ma non per annientare, bensì per trasformare.

Qual è lo stile punk?

Lo stile punk è anti-moda e, proprio per questo, ha influenzato profondamente la moda. Abiti strappati, spille da balia, borchie, cuoio, t-shirt provocatorie, simboli ribelli. Ma anche silhouette spigolose, trucco marcato, spalle larghe e tessuti fetish. Tutto ciò che metteva a disagio, tutto ciò che sfidava il decoro, diventava espressione di libertà. Designer come Vivienne Westwood e stilisti come Thierry Mugler o Azzedine Alaïa hanno reso queste provocazioni strumenti di bellezza nuova, brutale e necessaria.

Punk e alta moda: una tensione continua

Non è un paradosso: il punk e la couture si sono sempre osservati, sfidati, contagiati. La moda ha preso in prestito il linguaggio punk per riflettere il disagio del tempo, e oggi come allora – da Saint Laurent a Comme des Garçons – questa influenza torna visibile. Le collezioni si fanno più dure, i volumi più estremi, i materiali più aggressivi. Non è una copia nostalgica, ma un nuovo dialogo tra forme del passato e inquietudini del presente.

Una società in crisi vuole una moda che reagisce

Il ritorno dello spirito punk non è casuale. Viviamo un’epoca polarizzata, incerta, attraversata da pressioni culturali e sociali che toccano corpo, sessualità, libertà personale. Come negli anni di Reagan e Thatcher, oggi si percepisce una stretta reazionaria che riguarda diritti e identità. E la moda – specchio del nostro tempo – risponde con stili che non cercano di piacere, ma mirano a disturbare. In questa accezione il ritorno dell’estetica punk è un invito alla consapevolezza, alla differenza, all’autenticità.

Individualismo, frammentazione, identità: perché il punk parla anche di oggi

L’eredità più potente del punk è forse questa: l’idea che non esista una sola bellezza, un solo stile, un’unica voce. La moda contemporanea è frammentata, polifonica, personale. È l’unione di elementi opposti – il romanticismo del pizzo con la brutalità del cuoio, il vintage con le più aggiornate tecnologie tessili, l’eleganza con la ribellione. Non si tratta di una semplice citazione del punk, ma di una reinterpretazione che ne reincarna lo spirito. E oggi, quello spirito underground, lontano dai riflettori e dai social, si sta risvegliando.

Cosa insegna il punk agli aspiranti fashion designer?

Chi studia moda oggi non può ignorare il valore culturale e creativo del punk. È una lezione di coraggio, di rottura, di identità. Un invito a non accontentarsi dell’estetica, ma a cercare il significato profondo di ciò che si crea. All’Istituto di Moda Burgo di Bologna, crediamo in una formazione che coniuga tecnica, storia e visione contemporanea. Perché ogni designer, prima di tutto, è un osservatore del suo tempo. E il tempo, oggi, ha bisogno di voci forti in qualsiasi campo, incluso quello della moda.

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